Dopo il sisma del marzo 2011 che causò lo tsunami e il danneggiamento dei reattori nucleari, la società Tokyo Electric Power prese in carico la gestione della centrale nucleare, stoccando all’interno di 900 serbatoi un milione di tonnellate di acqua radioattiva, ma non ha più spazio per immagazzinarne altra. “L’unica soluzione è quella di versarla in mare e diluirla”, ha detto il ministro durante una conferenza stampa a Tokyo. L’annuncio ha destato allarmismi tali nell’opinione pubblica da spingere il segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga a indire una seconda conferenza stampa, in cui ha precisato che i commenti di Harada sono “la sua personale opinione”. La situazione rimane apparentemente ferma, con il governo che aspetta l’ennesimo rapporto degli esperti e la Tepco che, in attesa di istruzioni governative, lancia l’ultimatum: “Lo spazio per immagazzinare l’acqua terminerà definitivamente entro il 2022”. Alcuni conti però non tornano. Fino a poco tempo fa, la Tepco dichiarava che l’unico elemento radioattivo presente nell’acqua contenuta nei serbatoi era il trizio, la cui pericolosità si manifesta solo in grandi quantità. Poi, a settembre 2018, qualcosa è cambiato e la società ha ammesso che l’acqua stoccata necessita effettivamente di ulteriori trattamenti di purificazione, prima di poter essere rilasciata nell’Oceano. “Se il processo di decontaminazione è in grado di rimuovere gran parte delle impurità radioattive eccetto il trizio, secondo gli esperti sicuro solo in piccole dosi – queste le parole del portavoce della Tepco – recenti studi hanno rivelato che oltre l’80% delle 920mila tonnellate di acqua accatastata nei grossi recipienti racchiude un ammontare di sostanze radioattive che eccedono i limiti consentiti dalla legge per la salvaguardia dell’ambiente”. Lo stesso portavoce ha poi ammesso che i livelli di stronzio 90 trovati in 65mila tonnellate di acqua passata attraverso il sistema di depurazione superavano di 100 volte i livelli consentiti dalla legge. Tutte cose che Tepco e governo giapponese sapevano da tempo, dice The Telegraph. Sulla trasparenza dell’operatore Tepco e del governo giapponese sono molti gli aspetti oscuri. Nel 2018 il quotidiano britannico diffuse un’inchiesta in cui si citavano documenti ufficiali che dimostravano che non solo il governo era a conoscenza da tempo della bomba a orologeria rappresentata dall’acqua radioattiva, ma che a causa di alcune falle nel sistema, il sistema di depurazione non ha mai eliminato alcuni elementi radioattivi, tra cui iodio, rutenio, rodio, antimonio, tellurio, cobalto e stronzio. All’indomani del disastro, con il sostegno del governo, la Tepco prima iniziò a pompare milioni di litri di acqua nei reattori per mantenerli freschi, poi prese a destinare 160 tonnellate di acqua al giorno al combustibile fuso della centrale, creando nei serbatoi un mix sospetto tra l’acqua pompata per raffreddare i reattori e quella sotterranea che scorre dentro i reattori nel suo corso, dalle colline intorno alla centrale verso l’Oceano. Già nel 2015, tra le proteste dei pescatori che lavorano nella prefettura di Fukushima, la Tepco aveva iniziato a versare in mare acque provenienti dalla falda radioattiva, e più volte, sotto la pressione dei residenti locali, delle organizzazioni ambientaliste, ma soprattutto della Corea del Sud e del Taiwan, che temono che l’acqua contaminata arrivi sulle loro coste, il governo giapponese ha provato a mostrarsi estraneo all’accusa di avere pianificato tempo addietro il versamento di acqua contaminata nell’Oceano. Certamente, alcuni episodi – come la gestione dei 52mila sfollati, ai quali il governo giapponese tagliò i sussidi finanziari già nel 2016, prima della divulgazione dei dati che invitavano gli evacuati a tornare nelle aree non più soggette a livelli pericolosi di radiazione – non sono precedenti che fanno ben sperare.